-di Giulia Caruso-
Quarant’anni e li dimostra tutti, ma lo sberleffo iconoclasta del Punk resiste all’usura del tempo, simbolo irresistibile di una rivoluzione che alla metà degli anni 70 partiva dai garage e dalle cantine del Regno Unito e straripava dalla musica al cinema e alla moda, influenzando intere generazioni.
Per celebrarlo degnamente, Londra che ne rivendica la paternità assoluta, ha indetto un’ annata intera di festeggiamenti. PunkLondon – 40 years of a subversive culture. è il titolo di questa specie di giubileo. Un’ iniziativa, come giurano organizzatori e sponsors, di un certo spessore culturale, tanto che ha ottenuto la benedizione dello stesso City Council di Londra, e vede la partecipazione di benemerite istituzioni, British Fashion Council, British Film Institute, British Library, Institure of Contemporary Arts, Museum of London, tanto per citarne qualcuna. E naturalmente, la Rough Trade gloriosa etichetta discografica dell’era d’oro del punk e la Universal.
Tanto per capire di cosa stiamo parlando, bisogna chiarire subito che il movimento punk è degno di essere annoverato nel patrimonio culturale e storico inglese, ” come Stonehenge e il British Museum”. Parola di Stuart Hobley della Heritage Lottery Fund che ha sganciato 99 mila sterline per foraggiare la manifestazione.
Intanto, una girandola di concerti, mostre e performances, ha preso il via il 4 gennaio con il Resolution Festival, in corso fino al 14, al 100 Club il locale che nel 1976, accendeva la miccia dell’esplosione, con l’esibizione di Sex Pistols, Damned, Clash, Stranglers, Siouxie and the Banshees , tanto per citare qualche nome di quell’ondata inarrrestabile che avrebbe rivoluzionato il mondo della musica rock e pop per sempre.
Era il 1975, la Gran Bretagna attraversava una crisi economica senza precedenti. Schiere di giovani disoccupati riempivano le strade con la loro rabbiosa inquietudine. Molti di loro non si riconoscevano più nel rock di Beatles e Rolling Stones e passavano le giornate a suonare una musica che rompeva gli schemi e fracassava gli strumenti sul palco. Un fenomeno analogo interessava anche New York con gruppi come Ramones e Television. Un suono duro, veloce, cattivo, che in America si limitava a scandalizzae i benpensanti ma che in Inghilterra sarebbe diventato un grido di rivolta contro il potere costituito prima di essere fagocitato inesorabilmente dall’industria discografica.” God Save the Queen dei Sex Pistols ne sarebbe diventato l’inno ufficiale
Malcom Mc Laren, giovane proprietario di un negozio d’abbigliamento, reduce da un viaggio negli Usa, decide di raccogliere gli umori di questa giovane working class allo sbando, e lancia una nuova moda, fatta di giubbotti, borchie catene, creste colorate e calze a rete strappate. Una moda che influenzerà anche le passerelle e che influenzerà schiere di nuovi stilisti, compresa l’indiscussa regina della moda targata Uk, Vivienne Westwood
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John Lydon , che passerà alla leggenda come Johnny Rotten, insieme ad altri frequentatori del negozio, fondano una band. Mc Laren decide di sposorizzarli. Ed ecco i Sex Pistols , incarnazione suprema dell’etica e dell’ estetica del punk che allora si dichiarava anarchico e teppista. Never Mind the Bollocks, il loro loro primo e unico album, sbanca le classifiche. Parte un tour mondiale e la storia dei Sex Pistol diventa un film che, almeno in Uk, scatena risse al botteghino. Riveriti dagli stilisti, perseguitati dai fotografi, Johhny Rotten e compari, sono ormai celebrità assolute. La “Grande truffa del Rock and roll” prosegue inarrestabile. Finirà nel 1978 in un hotel di New York con la
morte per overdose di Sid Vicious. bassista del gruppo, dopo esser stato accusato dell’ ucciso la sua ragazza, Nancy Spungen. Ma niente e nessuno riuscì ad arrestare il punk che continuò a morire e a rinascere, per molti anni ancora, elettrizzante, irriverente, e bastardo più che mai.
Foto di copertina: Punks girls a King Road. 1980, Getty Archives