-di Giulia Caruso-
Per la prima volta accetta di raccontare la sua storia Frank Gill. Senza nascondersi, con tanto di nome e cognome, ci parla della sua storia di militante dell’IRA. A Belfast, ora vitale e gioiosa, ma dove ancora, sotto la cenere, covano scintille di rivolta. Come il 13 luglio 2015, gli ultimi scontri, stavolta dal fronte orangista
Belfast è una città straordinaria in cui l’eco di un passato incandescente fa ancora a pugni con un presente che invece sembra voler dimenticare gli anni duri dell’occupazione inglese.
Un passato che oggi sembra lontano anni luce, con i turisti che si fermano a Falls Roads a fotografare i murales che raccontano l’epopea dell’Ira e di Bobby Sands, o che si accalcano al Titanic Quarter per vedere la culla della nave protagonista del più famoso naufragio del XX secolo.
Ma da qualche parte, una scintilla di quella maledetta guerra ancora oggi continua a covare sotto la cenere. Dopo l’accordo di Pace del Venerdì Santo del 1998, e dopo lo smantellamento degli arsenali dell’Ira nel 2005, a Belfast esistono sempre unità combattenti allo stato latente.
Ne è un esempio Oghlaigh na Eireann, (I Volontari d’Irlanda), la Nuova Ira che si è formata nel 2012 dalla fusione di diverse realtà paramilitari operanti sul territorio. Agiscono solo sporadicamente a causa della stretta sorveglianza dei servizi segreti inglesi, ma hanno capacità organizzative e logistiche tali da diventare operativi in ogni momento.
Un ‘altra scintilla ma di segno opposto, ogni anno, il 12 luglio accende i bonfires, i roghi della comunità lealista filobritannica che
festeggia con abbondanti bevute e spesso con violenti scontri, la vittoria quasi 4 secoli fa del sovrano protestante William d’Orange sul cattolico James II Stuart (1690) . Una scintilla che anche lunedì 13 luglio ha scatenato l’ultima battaglia a margine della tradizionale Parata dell’Orange Order, culminata con il ferimento di una ragazza e di una trentina poliziotti e che si è conclusa con una decina di arresti.
Ma a Belfast c’è anche chi la sua guerra contro gli inglesi, l’ha chiusa da un pezzo. Frank Gill per esempio, volontario dell’Ira negli anni 70.
Lo abbiamo incontrato nella sua casa a due passi da Falls Road, strada simbolo dell’irredentismo irlandese. Cinquantasette anni, magrissimo, quasi scheletrico, ha l’aria di uno che è sopravvissuto a mille battaglie. Parla con orgoglio del suo passato guerrigliero ma ci fa capire che, oggi come oggi, nella sua personale scala di valori, la pace è al primo posto.
Frank, come è cominciata?
Mi sono arruolato nell’ Ira nel 1976, a diciannove anni. Fino quel momento, avevo fatto parte del Fianna, l’organizzazione giovanile dello Sinn Fein. A 13 anni combattevo per strada lanciando sassi ai carri armati inglesi insieme ai miei amici. Poi è successo qualcosa che mi ha fatto decidere a imbracciare le armi, una volta per tutte.
Che cosa accadde?
Mio padre fu arrestato e portato via sotto i nostri occhi in piena notte, senza nessun motivo. Succedeva spesso in quegli anni quando gli inglesi avevano imposto il cosiddetto internamento senza processo. In altre parole, tutti i repubblicani irlandesi potevano essere arrestati da un momento all’altro e buttati in carcere per anni, senza uno straccio di processo. La polizia organizzava veri e propri rastrellamenti nel cuore della notte. Gli arrestati venivano portati alla centrale di polizia di Castlereagh, sottoposti a interrogatori brutali, e spesso torturati
Era consapevole di quello a cui sarebbe andato incontro?
Quando entrai a far parte dell’Ira mi dissero chiaramente che correvo il rischio di esser arrestato, torturato e ucciso in qualsiasi momento. Sì, ero al corrente di tutto, ma sapevo anche che non avevo altra scelta se non quella di ribellarmi.
Qual era il suo ruolo nell’Ira?
Ero un semplice volontario del Terzo Battaglione della West Belfast Brigade. I primi tempi, l’unità di cui facevo parte che era composta di 5 persone, aveva il compito di esplorare il territorio alla ricerca di obiettivi da colpire. In questa fase l’offensiva non era diretta a colpire obiettivi militari ma contro gli interessi economici inglesi, quindi alberghi, banche e anche industrie. La parola d’ordine era “rendiamo ingovernabile l’Irlanda del Nord”.
Quando fu arrestato e perché.
Fui arrestato nel 1978 proprio durante l’azione più difficile e rischiosa a cui prendevo parte. Il nostro commando aveva il compito di far saltare in aria una pattuglia inglese. Avevamo piazzato la bomba all’incrocio in cui sapevamo che la pattuglia sarebbe transitata, come ogni sera.
Tutto era stato calcolato al millesimo ma io avevo la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. Sentivo il rumore di un elicottero avvicinarsi sempre più e fu in quel momento che mi resi conto che era meglio fuggire. Risalimmo immediatamente in macchina ma dopo qualche centinaio di metri, una pattuglia inglese ci bloccò e ci trascino a Castlereagh. Dopo due giorni di interrogatori durissimi, fummo trasferiti al carcere di massima sicurezza di Long Kesh, un vero e proprio lager per detenuti politici in cui rimasi per otto anni.
Lei era in prigione durante l’Hunger Strike, lo sciopero della fame del 1981, che si concluse con la morte di Bobby Sands e di altri nove detenuti politici.
Conoscevo bene Bobby Sands, che era detenuto in un’altra ala del carcere. Certo, anche noi aderimmo allo sciopero della fame, anche se solo simbolicamente. Io, per solidarietà, digiunai tre giorni . Il governo Thatcher rifiutò le richieste dei detenuti politici. Bobby morì dopo 66 giorni di digiuno e gli altri lo seguirono nei mesi successivi. Eravamo tutto profondamente addolorati ma, stranamente, ci sentivamo ancora più forti perché eravamo sicuri che alla fine avremmo vinto.
E quando uscì?
Quando fui rilasciato nel 1986, i carri armati dell’esercito inglese occupavano ancora le strade di West Belfast. Io avrei voluto riprendere la lotta ma era impossibile, dato che la polizia mi sorvegliava giorno e notte. Cosi decisi di andarmene, prima Londra e poi in America. Quando ritornai a Belfast nel 1995, molte cose erano cambiate. Il Peace Process era appena iniziato, e come molti miei ex compagni dell’Ira, aderii allo Sinn Fein, il partito che ormai da anni, porta avanti la via pacifica all’indipendenza dell’Irlanda del Nord.
Che cosa è cambiato nella sua vita da allora?
Sogno sempre di vedere la mia Irlanda unita e indipendente ma credo profondamente che la pace sia la cosa più importante. Trent’anni di odio e di guerra sono stati abbastanza e ne stiamo ancora pagando le conseguenze. Sono fiero della mia storia e continuerò a raccontarla perché nessuno di noi deve dimenticare quello che abbiamo sofferto per un futuro migliore.
Copertina: Picchetto dell’Ira per la celebrazione della Rivolta di Pasqua (Foto di G. Caruso)