-di Valeria Ronzani-
NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA AD ERRI DE LUCA. Alla vigilia della sentenza che potrebbe condannarlo a 8 mesi di carcere. “Non ricorrerò in appello. Andrò in galera. Se per la magistratura quelle mie parole sono un crimine, io continuerò a commetterlo”.
A saperli cercare, gli uomini liberi esistono. Erri De Luca, per esempio. Scrittore (uno dei più importanti, tradotto in oltre trenta lingue), una carriera iniziata quando aveva quasi quarantanni, giornalista, traduttore, poeta, la parola è il suo mondo. Ora per una parola rischia la galera. Mandato sotto processo per aver dichiarato che la Tav ‘va sabotata’, la procura di Torino ha chiesto una condanna a 8 mesi di carcere ‘per istigazione al sabotaggio’. La sentenza è attesa il 19 ottobre. Mentre il 22 Feltrinelli farà uscire una nuova raccolta di racconti, “Il più e il meno”, dove De Luca intreccia ricordi della giovinezza a Napoli, incontri di vita e di penna. O di lettura. Nel 2011 è nata la Fondazione che reca il suo nome. Iniziative in suo sostegno si organizzano in Italia e in Francia (da noi più nel mondo dello spettacolo che in quello dei media. Si consulti a riguardo il blog iostoconerri.net).
Qual è il valore della parola?
La parola è uno strumento di comunicazione, il migliore per la specie umana. In circostanze particolari può essere sanitaria, vedi il momento del dolore, dove una parola può realmente lenire. Il Cristo, quando sta sulla croce e dice “Perdona loro”, trasforma lo strumento della croce da patibolo a rampa di lancio della salvezza. Senza quelle parole è uno strumento di morte e basta, con quelle parole è trasfigurato. Il genio del Cristo sta nelle sue parole molto più che nei suoi atti.
Per una parola però lei rischia di finire in galera
Pazzesco vero? La sentenza sarà emessa il 19 ottobre a Torino. Prima, sia l’accusa che la difesa avranno la possibilità di ulteriori interventi. Si tratta della sentenza di primo grado, ma nel caso di condanna per me sarà definitiva. Non ho intenzione di ricorrere in appello. Sono accusato di vocabolario sgradito, difendo le mie parole, ho scritto un libretto, “La parola contraria”, dove ho potuto esprimere la mia convinzione. Non ha senso andare a cercare aule di tribunali più comprensive. Se per la magistratura quelle mie parole sono un crimine, continuerò a commetterlo.
Forse mi è sfuggito ma, contrariamente ad altre volte, non mi è sembrato di vedere grande solidarietà da parte di chi dovrebbe essere più coinvolto nella difesa dell’articolo 21 della Costituzione (‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione’…), cioè chi lavora nei media.
Noi, secondo un osservatorio internazionale, abbiamo la stampa meno libera d’Europa. Giornalisti ’embedded’, come quelli che in guerra viaggiano al seguito delle truppe. Non fanno informazione, sono dipendenti di un’azienda. Alcuni censurano, si dimenticano, altri danno versioni distorte.
Nel nostro piccolo, noi di Words in Freedom nasciamo a causa di questo, stanchi di scelte dettate da gerarchie redazionali che spesso non condividiamo. In una situazione normale non esisteremmo.
È il motivo per cui ho accettato molto volentieri questa conversazione con lei. E la ringrazio per l’attenzione che mi dedica.
Lei è credente?
Non sono credente, sono leggente, leggo regolarmente le scritture sacre. La mia giornata inizia leggendo un passo delle scritture. Ho tradotto l‘Antico Testamento attratto da quella lingua. Quella dell’Antico Testamento è la prima divinità che ha scelto la parola per rivelarsi. Il verbo dire è quello più frequentemente associato alla divinità nell’Antico Testamento. Mi ha incuriosito e sono andato ad avvicinarmi a quella sorgente.
E cosa l’ha portata durante la guerra nell’ex Jugoslavia a farsi bersaglio, per usare una sua espressione?
No no, durante la guerra in Bosnia guidavo i camion con gli aiuti umanitari per conto di alcune associazioni cattoliche. È stato nel ’99, durante i bombardamenti di Belgrado, che ho sentito la necessità di mettermi dalla parte del bersaglio. Io vengo da una città che nella seconda guerra mondiale è stata la più bombardata d’Italia. Vengo direttamente dagli incubi di mia madre, che per tutta la sua vita è stata svegliata dal suono della sirena. Il bombardamento di una città è l’atto di terrorismo per eccellenza, chi bombarda una città vuole uccidere i civili, è una bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura moltiplicata per mille. La mia è stata una ragione di igiene mentale, non sarei sopravvissuto, dovevo disertare da questo Paese che si metteva a bombardare una nazione vicina.
Lei da giovane ha militato nella sinistra extra parlamentare, cosa è fallito di quella esperienza?
Sa, quelli erano anni in cui veniva naturale schierarsi, partecipare. Ma non sono d’accordo che quella esperienza sia fallita, semplicemente è finita. Credo che si sia ottenuto tutto quello che si poteva ottenere nell’Italia di quegli anni. Ora è un Paese molto diverso, gli operai non esistono quasi più, sono un decimo di quello che erano allora. Noi giovani eravamo maggioranza, adesso sono pochi, una minoranza, e sentono questa inferiorità, il nostro peso.
Questa è però un’epoca di grandi mutazioni. Recentemente è stato presentato a Ferrara il documentario “Mediterraneo, la nostra frontiera liquida”, con i suoi testi, ma di cui mi dicono lei è anche finanziatore
Si tratta di un’iniziativa di Gabriella Guido di “LasciatECIentrare” e di Valeria Brigida. Hanno proposto il progetto alla Fondazione Erri De Luca e la Fondazione l’ha sostenuto. Abbiamo finalità di solidarietà sociale e certamente i grandi movimenti migratori sono il fenomeno più potente del quale siamo contemporanei. Le paure di infiltrazioni terroristiche fanno parte di quei sentimenti di rigetto che sono sempre esistiti. Ma che sono sentimenti di minoranza. Bisogna farli entrare dal piano terra della società. Le scuole elementari, per esempio, lo stanno già facendo. È il nostro trasformarsi in comunità plurale. Anche se noi siamo già una comunità plurale, l’Italia nasce comunità plurale, l’italiano è stata la seconda lingua per tutti.
Cosa ci salverà?
Noi siamo il Paese più corrotto in circolazione in Europa, un Paese dove le opere pubbliche vengono decise e gli appalti assegnati non nell’interesse della collettività, ma per favorire imprese amiche, anche con collusioni di mafia. Ci sono però tante spinte che si muovono dal basso per cambiare questo stato di cose. Sì, credo che ce la faremo.
Le foto dell’articolo sono tratte del sito Fondazione Erri de Luca